Un amore impossibile

un amore impossibile

Tornando a casa, la ragazza già intuiva che quella notte non avrebbe chiuso occhio. Nel giro di poche ore quante cose le avevano insegnato sia Iside che Gianni. La prima, il ditalino e il secondo che le donne bevono la sborra! Però, non si era fatta spiegare nulla sul sapore della roba che schizza dall’uccello. Salato, dolciastro? E il colore? Una domanda dopo l’altra che le martellavano il cervello. Quando Gianni si fermò sotto casa: “Non mi sento molto in forma” gli disse “ho bisogno di dormire sino a mezzogiorno. Domani pensaci tu a dirlo ai professori. Se vuoi, chiamami nel pomeriggio; sarò in casa. Non vedo l’ora di andarmi a ficcarmi sotto le coperte. Scusami, tesoro”.

Gli porse la guancia e Gianni le sorrise. “Mi hai detto ‘tesoro’; è forse una promessa?…” Isotta, un po’ sconvolta: “Buonanotte”; non gli aveva dato nemmeno il tempo che lui la baciasse sulla guancia. Come sono strane le donne! pensò Gianni. Prima si lasciano pastrugnare e, poi, se la filano di corsa. Si sentiva le palle come due grosse prugne e, arrivato a casa pure lui, le avrebbe svuotate sparandosi una sega. Ricordava molto bene ogni istante che avevano vissuto insieme dopo la cena al ristorante dove si mangia “alla romana” e, così ben scolpita come l’aveva in mente, lei l’avrebbe fatto sborrare in un paio di secondi. Che femmina, che cosce! Sì, molto inesperta e complicata ma ciò avrebbe reso il rapporto ancora più eccitante.

Percorse la strada verso casa a più di cento all’ora per la gran voglia che aveva di spararsi un bel segone. Ora che era sotto la coperta pure lui, Gianni chiudendo gli occhi: “In questo momento cosa starà facendo Isotta?”si chiese a fior di labbra e si trovò con la mano sull’uccello, pronto a smanettare. I genitori della ragazza dormivano da un pezzo. Ci aveva certamente pensato la mamma a rassicurare il padre dicendo che Gianni era davvero un buon ragazzo. Isotta, perciò, si mosse piano per non svegliarli e si ficcò subito nel gabinetto per darsi una rinfrescata fra le cosce.

Pur non avendo goduto si sentiva impiastricciata e lavandosi pensò a quel compagno di scuola. Sì, si sarebbe lasciata sverginare perché Gianni, dopotutto, le piaceva ma ragionando sul fatto che con le altre aveva fatto certe cose… si dette della cretina perché lui, in fondo, non era ancora il suo compagno; eppure, ne era gelosa lo stesso: gelosa del passato! Una gelosia che non aveva senso e che avrebbe reso impossibile il suo amore.


Continuò a lavarsi con cura tra i labbroni e, al ricordo delle anguillesche staffilate della lingua di Gianni sulla fica con quell’intrusione digitale nel culetto, il suo corpo fu percorso da una scarica di corrente ad alta tensione. Isotta si dimenò, si torse prima a destra, poi a sinistra, inarcò le reni e tornò a rilassarsi ancora sul bidé. Ebbe la sensazione di essere scarmigliata e grondante di sudore come uno stallone dopo una lunga galoppata.

Meglio un’asciugatina rapida e, poi, ficcarsi in letto. Sarebbe riuscita a godere com’era accaduto prima di andare a cena col compagno? Che strano! Ora che era sola ne sentiva un gran bisogno. Si coricò immaginando che Gianni le si era steso addosso e lo abbracciò istintivamente. Un’illusione, certo, ma che le faceva tanto bene e, spenta la luce, si abbandonò a un sogno che sarebbe durato sino all’alba. Gianni, in tenuta sportiva: “Vieni, vieni” la chiamava di sotto casa con questo bel sole in campagna staremo molto bene”. La madre: “Isotta, va’ pure, divertiti. Di questo ragazzo ho un’ottima impressione”.

Contenta la madre, perché non doveva essere contenta pure lei? Infilò un vaporoso vestitino e raggiunse il compagno che si guardò bene dal baciarla temendo che la madre osservasse dal balcone. Mezz’ora dopo, Gianni fermava la macchina nei pressi d’un laghetto. A lato, però, una boscaglia fitta fitta. “Vedi?” le disse “qui possiamo stenderci sull’erba e goderci il mormorio dell’acqua in santa pace. E’ un luogo solitario; di qui non passa mai nessuno”, Isotta a razzo: “Qui ci sei stato prima con qualcuna?” “E piantala con queste stupide domande!” la rimproverò il compagno allungandosi sull’erba “Tu vuoi guastare sempre tutto. Non sei pratica, moderna. Si direbbe che tu abbia un cervello piccolo così!” e raggruppò le dita per indicare la misura. Gianni non aveva, forse, torto perché le sue compagne erano più sciolte, disinvolte e lo sapevano molto bene i cessi della scuola. Quanti preservativi vi si trovavano spesso a terra!

Così, si stese sull’erba pure lei e un secondo dopo si trovò con lo spadone incarognito di Gianni tra le cosce. Lui glielo infilava nell’umida guaina sino all’elsa e questa presa di possesso così brutale risvegliò in lei tutte le riserve della sua sensualità tanto che, appena la cappella urtò contro la bocca dell’utero, gli occhi lesi spalancarono piuttosto compiaciuti. In quell’istante scoprì che un guardone stava ad osservarli mentre si dimenava istericamente impugnando un grosso arnese. la sorpresa, però, non fu tale da raffreddare i suoi ardori; anzi, la situazione scabrosa servì da stimolante supplementare e lei si donò anima e corpo al flusso e riflusso dell’ariete che la frugava con vigore.

L’istintiva conoscenza degli uomini suggerì a Isotta di non attirare l’attenzione di Gianni sull’instruso. Stupidamente, reso furibondo dall’indiscrezione che avrebbe considerato come un affronto sanguinoso, il compagno probabilmente avrebbe interrotto la stupenda cavalcata per dare a quel guardone una lezione. Il suo ventre continuava a rispondere ad ogni movimento penetrante del compagno mentre si deliziava nello spiare, a sua volta, la masturbazione convulsa di quel tale, nello studiare i tratti di quel viso sul quale sembrava si fossero concentrati tutti i vizi e le oscenità del mondo.

La sua espressione insieme ebete, satanica, disincantata e sofferente era una vivente apologia della turpitudine. L’uomo trasandato e brutto, rugoso ed emaciato ma nei suoi occhi da furetto bruciava una fiamma che, in lei, decuplicava una morbosa eccitazione.

Quando Isotta fu devastata dall’uragano che le scompigliò le viscere, Gianni si illuse nel segnare a suo credito la totalità dei gridi di piacere che le uscirono di bocca perché: “Hai visto” le disse “un maschio deve aver già fatto queste cose per far godere poi la donna che ama veramente”. Eccolo lì, il solito maiale! A ricordarle sempre quelle stronze che facevano le puttane di mestiere. No, no, un amore impossibile e, per sua fortuna, non se n’era ancora innamorata alla pazzia, altrimenti l’avrebbe accoltellato. “lo ho ancora un sacco di cartucce” le disse “vuoi che andiamo a spararle a casa mia?” Quella delle cartucce era per Isotta un’altra novità. Ma, di quali cartucce parlava se non aveva fatto altro che chiavarla e non si era portato dietro alcun fucile?

“Sì, sì andiamo” gli rispose e, giunti a casa, Isotta si lasciò cader scompostamente sul letto perché si sentiva un po’ spompata. Il movimento brusco le sollevò la gonna. Nel disordine eccitante delle sue pieghe scompigliate, Isotta esibì l’opulenza delle sue natiche paffute e tonde. “Solleva e divarica le gambe” le disse Gianni leccandosi le labbra e lei, senza alcuna esitazione, ubbidì mettendo in mostra le polpute labbra della fica che emergevano dalle intricate frange del pelame. “Hai delle tenere mucose” bisbigliò Gianni e avvicinandosi: “Fammi dare un’occhiata alla fessura posteriore. Non lo chiamava culo, il maialone! E lei, per irritarlo maggiormente, si mise in una posizione più impudica perché lui le si buttasse addosso e le spaccasse la “fessura”.

Che scemata quella, in alcuni momenti, di non volersi comportare da maiale! Isotta, ormai, lo conosceva bene e, lasciando da parte ogni ritegno, troppo desiderosa di essere finalmente posseduta nel di dietro, con un gesto inequivocabile lo invitò a sodomizzarla. Anche questa, per lei, era diventata una voglia irrefrenabile ossessiva. Con le mani corse a sfiorare le natiche, poi le artigliarono, le allargarono e le mantennero separate offrendo il buco scuro. Un turbamento infinito si impadronì di Gianni all’idea che questa volta avrebbe inguainato la sua fava in quel secondo canale che lo allettava già da tempo. Si avvicinò all’obiettivo, che sembrava lo chiamasse, e con la saliva lubrificò un pochino la cappella in preda a un’indicibile emozione. Poi, cadde in ginocchio e le sue mani afferrarono le cosce da dietro, la schiena si piegò, il collo si tese e la lingua appuntita si allungò verso il bottone crespato di quell’occhietto malizioso.

Isotta giocò a rilassarsi, a contrarsi ritmicamente e il bocciolo si schiudeva e si raggrinziva in un’offerta satanica. La punta della lingua picchiettò l’alveolo, forzò la resistenza naturale del muscolo circolare, si appuntì maggiormente per potersi introdurre. Non riuscendo ad inoltrarsi troppo, mentre le sue dita si agitavano nella vagina paludosa, Gianni cercò di roteare meglio che poté la lingua spingendola contro le tenere pareti. “Basta, basta!” gemeva lei contorcendosi. “Basta con la lingua… mi fai godere subito ma io lo voglio dentro… lo voglio tutto”.

Il giovane, naturalmente, non si oppose alla richiesta e col piolo in mano appoggiò le gambe contro il bordo del letto, si inclinò, si inarcò e mirò dritto alla soglia che lo attendeva. Il largo fungo si schiacciò sull’occhiello, Io forzò, lo allargò, lo dilatò, vi si ingolfò strappando un lungo gemito ad Isotta. Malgrado il vivo spasimo e il senso di soffocamento attenuassero un pochino le ondate di piacere provocate dalle dita d Gianni sul grilletto, la ragazza ce la mise tutta per alloggiare interamente il cazzo.

Al dolore acuto della dilatazione si sostituirono le prime delizie di un piacere terribile che man mano invadeva ogni fibra del suo corpo.
Orgasmi a brevi intervalli, sempre più violenti e sempre meno conclusivi, come se la preparassero a un ultimo godimento che l’avrebbe distrutta in un rogo insopportabile, mortale.

In un primo tempo, Gianni si ritirava dalle strettezze della sua prigione con estrema precauzione, penetrando nuovamente a fondo con lentezza, seguendo il ritmo dato dal fluttuare dei fianchi della donna. Le natiche armoniose e sode, infilzate da quel cazzo che continuava il suo moto alterno, si tendevano, si ritraevano, roteavano per sentirlo meglio e le cosce seguivano i movimenti di piacere più acuto divaricandosi, serrandosi e facendo guizzare i lunghi muscoli nello spasmo. In una sorta di “trance”, divisa tra voluttà e la sorpresa delle nuove meravigliose sensazioni scatenate dall’introduzione posteriore, Isotta pedalava a vuoto: le sue caviglie ora battevano contro le cosce, ora si annodavano ai fianchi di Gianni che la speronava.

Il piacere si dilatava in lei, che se ne sentiva pervasa totalmente, gonfiata come una mongolfiera trattenuta a terra solo dalla ferma concreteza di quel cazzo stupendo che la ancorava. Presto si sarebbe liberata e sarebbe volata in un infinito d’immenso godimento.

Lo sconvolgimento della sua carne si trasformò subito in un vertiginoso turbine che la risucchiò in una spirale di sublimazione. E Isotta, infatti, esplose, si disintegrò nelle convulsioni di un piacere mai provato. Nell’apoteosi della sua gioia, le scosse del cazzo che si vuotava nelle sue viscere contratte aggiunsero alla sua felicità una piena completezza.

Ubriaca di estasi, Isotta singhiozzò, ruggì, gemette, dibattendosi come una demente nella camicia di forza d’un orgasmo prolungato. Doveva aver gridato molto se sua madre, toccandola sul viso: “Isotta, sveglia, sveglia! Stavi sognando di annegare?” La giovane aprì gli occhi e balbettando: “Non riuscivo più a nuotare” disse e la madre: “Ti preparo il caffélatte. “Che sogno!” balbettò ancora Isotta e sentì per Gianni una profonda ripugnanza perché l’aveva sverginata e inculata. Ma, nel sogno, per fortuna! Proprio lei, una ragazza che aveva principi molto sani! Appena la madre chiamò Iside perché preparasse il caffélatte, Isotta toccandosi la figa tutta un lago: “No, tu non sarai mai sua”. Si riferiva, naturalmente, a Gianni.
continua…


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.