Quella notte con Odile

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Ero a Parigi, per la prima volta senza mia moglie, e volevo divertirmi. Fu allora che la incontrai in un localino. E’ stata la mia prima donna di colore e non la dimenticherò così facilmente.

Solo, a Parigi, con le tasche piene di soldi e con la testa e il cazzo pieni di voglia di fottere. Giravo sulla mia macchina a noleggio da un bar a un night a una discoteca, finché non ho visto Odile. Nera come l’ebano, usciva da un locale ridendo a gola spiegata, facendo mostra di trentadue dentini bianchissimi. Quando ho visto che chiedeva un taxi al parcheggiatore, mi sono tuffato e l’ho invitata. E’ salita in auto senza esitare ed io senza esitare l’ho invitata nel mio residence a bere il mio champagne, e non solo quello. Si è presentata e ha detto di sì, poi con naturalezza si è sollevata sul sedile e si è sfilata collant e mutandine. Con un sorrisetto li ha ficcati in borsetta e mi ha sbottonato i pantaloni, afferrandomi l’uccello con tutte e due le mani. Per poco non ho lasciato il volante, poi ho accelerato al massimo per arrivare a casa prima della mia sborrata.

Ce l’ho fatta, ma appena dentro ho dimenticato champagne e buone maniere, le ho sollevato il vestito sulla testa, e dopo una rapida leccata di fica, lunga e gustosissima, l’ho messa nuda e l’ho distesa sul pavimento. Lei si è accucciata alla pecorina, con la testa fra i pugni serrati; io le ho afferrato le natiche, e dopo un’altra veloce, ma più profonda leccata ai due buchetti, le ho sferrato tutta la mia fava nel ventre. Ha rialzato la testa di scatto, quasi ringhiando all’impatto del mio cazzo duro come il ferro contro la sua fica ancora mezza asciutta. Ha roteato i fianchi per diminuire o almeno rallentare la pressione, ma non ha avuto molto successo. L’ho costretta a tenersi tutto quanto il mio palo nella fica finché le sue pareti non si sono distese, finché la sua linfa non è sgorgata a lubrificarle l’entrata che rischiava di lacerarsi ad ogni colpo di mazza. La colpivo con furia selvaggia, senza darle respiro, e facevano effetto i miei colpi furiosi alla fica della prima, splendida neretta della mia vita. Lo vedevo che facevano effetto, da come roteava la testa, da come smaniava nella sua lingua incomprensibile ma tremendamente erotica, piena di roche inflessioni, di gutturali invocazioni, di urla di gioia simili a gemiti o sospiri di patimento.

E il suo culo saltava in tutte le direzioni, come i suoi fianchi snelli come quelli d’una bruna gazzella eppure tondi e femminili come pochi ne avevo visti; e alzava e abbassava le gambe, sbattendo i piedini contro il tappeto, tutta presa dal suo raptus erotico. Ero partito forse più di lei, ma stavo sopra e non poteva vedermi né potevo vedere io quale espressione portasse stampata in volto. Feci per girarla senza estrarre il mio cazzo dalla sua bruna spaccatura, ma non vi riuscii, il cazzo sgusciò fuori vibrando, e lei, già mezzo distesa sulla schiena se lo ficcò in bocca come un assetato succhia un pezzo di canna da zucchero. Il suo pompino era selvaggio quanto lei, ma in quel momento non volevo altro che la sua sorca, la sua fregna rovente, la sua fica dall’odore di foresta.

E glielo dissi, poi le stappai letteralmente la bocca togliendone la mia fava e gliela ficcai fra le cosce aperte, buttandomi fra le sue braccia sul suo ventre, a schiacciarle le tette dai capezzoli neri come grandi chicchi di caffè. Riprese il su-e-giù, il va-e-vieni, la chiavata senza fine che sognavo da una vita con una femmina d’un altro colore. E riprese e continuò anche quando Odile disse che stava venendo per la terza volta, con un filo di voce.


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