Fammi tutto ciò che vuoi

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Non avevo mai visto Antonietta in quello stato. E’ bastata una leccata lenta e delicata perchè perdesse la testa. Una volta le avevo detto: “a me le donne piacciono puttane, schiave, troie, voglio che se mí va di farmi leccare il cazzo loro mi devono ciucciare il cazzo. Se le voglio che mi aprono le gambe a comando mi devono aprire le gambe a comando, per non parlare di quella specie di fardello che si portano giusto sotto la spina dorsale”.

E lei, Antonietta, vincitrice a pari merito con l’elefantessa Giovanna, famosa per la sua broboscide (che usa in allenamento per paura dí avere la bocca troppo piccina ) del gran premio “leccati questa bega, sorella” che cosa ti va ad inventare in una sera tra l’altro un tantino afosa? Mi inventa che era ora di smetterla con questo maschilismo da strapazzo, che a noi donne, si il cazzo ci piace, ma solo e quando lo decidiamo noi.

Bene, ho pensato, e già con il pensiero correvo a tutte le altre puttane che quella sera non erano di turno femminista e che allora con me si sarebbero mostrate come al solito generosissime, bene, la cosa che mi diverte di più sono le puttane che danno lezioni di moralità.

Se non si sono ancora sposate, perché se al contrario hanno già detto si, beh allora non sono più puttane. Comunque, siccome maschio si, lo sono, ma maschilista più di tanto mi suona difficile, mi ero messo il cuore in pace. Ragion per cui non le ho più telefonato. Rigore!

Viene lei da me, in una mattina più fresca del solito, dopo un temporale, i rami degli alberi più bassi già caduti, la città che sembrava una via di mezzo tra una coca cola e un wurstel. Cartellino giallo nelle sue mani e dalla sua bocca ecco cosa ti esce: “va bene, hai vinto (nota bene: un pareggio in trasferta tenendo conto del fattore campo e dei gol in trasferta ma andava più che bene) fammi tutto quel cazzo che ti pare, prendimi, coglimi stronzo, fammi quello che vuoi!”

A quel punto ce l’avevo lì a portata di cazzo, lei era lì a misura di uccello. La sua veste sottile e trasparente le scivolò giù dal suo bel corpo di femmi-na. Mi appoggiai alle sue poppe, leccanole svogliatamente un capezzolo mentre la mano la palpava giusto lì in mezzo alle gambe, un po’ più in su, dentro alle cosce.

Aveva la figa già umida la puttana, e se c’é una cosa che mi eccita in una femmina é quando le metto una mano sulla fregna e la sento che c’é. E bagnata per giunta. Saremo pazzi noi uomini, ma quando una donna ci dimostra che non le siamo indifferenti, chi sa come mai diventiamo anche più buoni, più compiacenti, più disponibili. E così presi a spiegarle che se si metteva alla pecorina glielo avrei dato meglio e con più gusto.

Lei si volse e mi toccò i coglioni, io glielo infilai di prepotenza nel culo e stetti lì a vedere l’effetto che faceva. Faceva un bell’effetto e cercai di spingerglielo dentro ancora di più, la volevo in culo, in figa, ovunque. la volevo ancora più serva di quello che si stava dimostrando di essere. Lei me lo prese e me lo chiese in bocca ed io acconsentii. Di labbra andava bene, di lingua un po’ meno, ma l’uccello in bocca lo sapeva tenere, eccome.

Ad un tratto, mentre me lo slinguava e in tanto mi dilettava le palle, ho avuto come la sensazione che nella sua bocca il mio cazzo fosse come un microfono tra le mani di una cantante. E non mi sembrò neanche vero di amplificarle il bocchino quando al massimo della goduria glielo tolsi dalla bocca e invece che sborrarle in gola gliela feci in un orecchio.

A lei piaceva anche così ma per fortuna mi rimanevano forze sufficienti per farglielo assaggiare anche in figa e anche nel culo. Siamo generosi. noi maschietti. Michele


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