Pronto intervento


Ho conseguito il diploma di scuola superiore l’anno passato, ma purtroppo come tutti i giovani di quest’epoca, ho avuto non poche difficoltà a introdurmi nel mondo del lavoro. I parenti, i conoscenti, le raccomandazioni non sono servite a molto, anzi devo dire che il risultato è stato nullo. Così, quando l’amico di un mio amico, mi raccontò che un’impresa di pulizie non molto distante dal nostro quartiere assumeva personale da adibire per svariati lavori, mi presentai e fui assunto.

Quella mattina dissero che dovevo recarmi in un palazzo, per pulire le vetrate esterne, mi armarono di secchi e stracci e partii per la sfacchinata quotidiana. Mille pensieri mi attraversavano la testa, ma forse il più assillante era quello della pericolosità di questo incarico, infatti, salire sulle facciate delle case per pulire i vetri è un mestiere rischioso, ma può presentare anche i suoi vantaggi.

Come la settimana scorsa quando, per discrezione non posso dire dove, vidi una signora formosetta completamente nuda che si faceva palpare le tette da una ragazza, che poi seppi essere sua figlia, altrettanto nuda alle sue spalle che contemporaneamente le vellicava le natiche con il pelo del pube. “Due lesbiche”, pensai bloccandomi per guardar lo spettacolo, le apparenze mi davano ragione.

Infatti, la signora si portò rapidamente una mano alla fica e nel pastrugnarsi con l’altra raggiunse la ciccetta della giovane. Lavorava con tecnica da vera porcona esperta tanto che la ragazza cominciò a torcersi come una fiamma al vento e, dopo non molto, non ce la fece più, abbrancò la donna, la sbatté sul bidet. la scosciò e si precipitò a leccarle furiosamente le pieghe dei labbroni.

Era tanta la furia che l’aveva invase che pur di penetrare il più profondo possibile nella topa vi tuffava anche il naso, incurante dei peli del pube che le sfregavano la faccia. Lo spettacolo era tanto arrapante che io persi l’equilibrio, andando a sbattere sul vetro. Le due si bloccarono di colpo. “Adesso sentirai che scenataccia”, rimuginai, invece con mia grande sorpresa, mi sorrisero e si affrettarono ad aprire la finestra. “Arrivi come il cacio sui maccheroni”, disse la ragazza, ma la signora corresse: “Vorrai dire come il cazzo sui figoni”, poi si rivolse a me: “Su entra siamo in calore e lesbicavamo solo perché non avevamo maschi a portata di ventre”, mi spiegò.

La ragazza non disse niente, ma si mise a palparmelo con gusto, mentre la madre, più pratica si precipitò a denudarmi.
Non solo, ma mentre Marilisa s’era messa a menarmelo, sfregandomi le tette su una chiappa, Adriana se lo fece sparire in bocca, accarezzandomi una coscia con le mammelle.

Provavo sensazioni stupende, ma io volevo chiavarle quelle due vacche, ficcarglielo in corpo. E lo dissi. Mi accontentarono immediatamente. “Per prima tocca alla mamma”, disse la ragazza e, sempre tenendomi in pugno, con la mano libera fece girare Adriana in modo che si trovasse su di me e con le sue stesse mani infilò l’uccello nella fregna che l’aveva messa al mondo. La fregai per qualche minuto in quella maniera, ma era troppo scomodo, così la schiaffai sul lavandino e la montai ferocemente fino a raggiungere l’orgasmo. Glielo avevo appena tirato fuori o, più esattamente, era scivolato fuori da solo perché diventato mencio, quando la figlia si affrettò a riportarmelo in tiro regalandomi un superbo bocchino.

Anche Adriana l’aiutò a eccitarmi facendomi un furioso lingua in bocca, che mi mandò in tilt. Allora ricambiò la cortesia di Marilisa; la rovesciò, le spalancò le cosce e glielo mise dentro, dicendomi: “Sentirai quant’è buo-na: gliel’ho fatta i”». Ma non mi garbava di fare il loro gioco; loro, non io, dovevano essere oggetti sessuali, così girai la giovane e la presi in piedi dal di dietro, ordinando a sua madre di leccarle i capezzoli. Eseguirono senza fiatare e da quel momento furono obbedientissime.

Montata anche la figlia, feci mettere Adriana sotto di noi in modo che leccasse contemporaneamente i miei coglioni e il culo della ragazza. Poi tornai a chiavare la madre, facendomi leccare dalla figlia.

Alla fine, spompato, dissi: “Io sono pulitore di vetri, ma voi siete pulitrici di cazzi”. Luca V. Milano


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