Carmela la vedova

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Non riusciva ancora a crederci. Povero Carmelo! Se n’era andato così, all’improvviso! Una morte da non augurare nemmeno ad un malacarne. E dire che sino a qualche giorno prima le aveva parlato del taglio del frumento, della raccolta delle olive (la loro unica ricchezza) e poi, a voce bassa, dal momento che di là dormivano la nonna e i genitori: “Carmela, se ti senti…”.

Cominciava sempre così, prima di fotterla, perché capiva che poteva essere stanca pure lei con tutto quel da fare che c’era sempre in casa. Ma lei gli sorrideva e gli si stringeva al petto, sempre disponibile per due motivi: il primo che Carmelo, suo marito, le piaceva da morire e il secondo che non avrebbe mai potuto sopportare che andasse a scoparsi magari una puttana. Agata, una sua amica, le aveva detto che in fondo alla Barriera ce n’era sempre qualcuna che aspettava… e, se Carmelo le avesse fatto un affronto simile, lei non ci avrebbe pensato due volte a dargli una bella rasoiata tra i coglioni! Ma, non se ne era presentata l’occasione perché lui era altrettanto innamorato della moglie e la scopava da toglierle il respiro. Dopo andava sino alla cassapanca e prendeva due, tre larghe ciambelle di mostarda e fichi secchi perché gli veniva una gran fame. “Vuoi che ti sbatto un uovo?” gli chiedeva Carmela per fargli riprendere le forze dopo tutto quello che sborrava, ma Carmelo: “Mi basta questo con un po’ di vino” e tornava a stendersi al suo fianco. Le dormite che facevano! E l’indomani, all’alba, capitava spesso che lui tornasse a caricarla perché sembrava che nel cazzo lui ci avesse un motorino! Ora, tutto finito, in due secondi. Carmelo, nel podere, non si era accorto che la terra gli stava cedendo sotto i piedi, a pelo d’un valloncello, ed era andato a sbattere con la testa contro un mucchio di pietrame. Un filo di sangue che dalla tempia colò caldo, a fiotti, e Carmelo non rispose più a nessuno. Che fine, che fine!, anche se il parroco, don Agostino, diceva che si doveva accettare sempre la volontà del Padreterno. Un mese dopo l’altro sempre con quel chiodo in testa, con la voce di Carmelo nelle orecchie che le diceva: “Carmelina, se ti senti…”. Lei sì che se la sentiva ma suo marito, ora, faceva l’angelo e non poteva andare a stendersi tra le sue cosce. Che malasorte, quella! Una spina nel cuore, che pungeva sempre, e la fica sempre asciutta con dei momenti che bruciava. Se andava dal parroco, a confessarsi, quello, con uno schifoso alito da salamoia: “Carmela, non commettere peccati col pensiero! Tuo marito da lassù ti guarda e vuole che tu gli sia fedele”. Fedele! E come fare col farmacista della Guardia che la invitava ad andare a mangiare i fichi nella sua tenuta sopra Picanello? Un farmacista giovane che la spogliava con gli occhi e le diceva: “Per essere in salute niente pillole ma ben altro… Ci vogliono supposte… Supposte di carne, è vero, Carmela?”. E la guardava inarcando le sopracciglia, muovendo lentamente gli occhi di sotto in su, con la promessa d’un fantastico festino… Abituata quasi a prenderlo ogni giorno, come poteva fare adesso che pure sua nonna, i genitori: “Carmela, non farti prendere da tentazioni. Tu hai davanti un lungo lutto e sei una vedova da rispettare perché Carmelo era un bravissimo ragazzo”. Che razza di ragionamenti! Ora Carmelo se ne stava in paradiso e se, mentre lei alla finestra metteva in ordine i vasi di gerani e di basilico, gli altri la guardavano che ci poteva fare? Soprattutto don Ferrante, che abitava lì di fronte. Questi le aveva mandato pure un bacetto sulla punta delle dita e un pomeriggio, incontrandola in via dei Crociferi, le si era messo al fianco mormorandole: “Sei bella, bellissima!” E lei aveva avuto appena la forza di dirgli: “Per favore, vada via”. Cosa che non gli avrebbe detto mai sia per rispetto, sia perché un bell’uomo. Ma se la gente, poi, avesse cominciato a chiacchierare?! Tutta Catania avrebbe detto che lei era una vedova-puttana giocandosi la possibilità d’un matrimonio magari tra dieci anni. Meglio dare ascolto a don Agostino, alla nonna, ai genitori e far fare le fuliggini alla fregna. Ma che gente, quella della sua terra, pronta a mettere il becco in ogni cosa! Ma, una notte che il caldo faceva gracidare più del solito le rane nello stagno, Carmela sentì il bisogno di accostarsi alla finestra perché il sudore, scorrendole dalla fronte giù alla schiena, aveva addirittura inumidito le lenzuola. Una camicia bianca con trine e con merletti seguiva armoniosamente la linea del suo seno e una voce, all’improvviso: “Non puoi prender sonno, Carmela? Lo capisco… “. Era il farmacista di Guardia-Ognina che si trovava sotto casa e, poi, le disse piano: “Vieni giù… “. Le venne spontaneo rispondergli: “Vengo domattina”. “Ma la farmacia è chiusa” disse quello e lei: “Vengo nel podere” e tornò a stendersi sul letto col cuore che pulsava. Che vergogna, che vergogna! Gli aveva dato appuntamento; lei vedova stava per mettersi sulla bocca della gente e suo padre l’avrebbe scorticata viva perché quel farmacista lo guardava con occhi storti essendo un puttaniere. Ma, a lei piaceva e che poteva farci? D’altra parte aveva spesso capogiri per via della voglia che aveva addosso e lui avrebbe potuto soddisfarla perché un bel giovane e, forse, ben dotato…
Non dormì tutta la notte all’idea di quell’appuntamento. E quando avvertì una piccola scarica elettrica proprio in cima al grillo, prese a carezzarselo dopo essersi bagnata con la saliva un dito. Che dolce sensazione! Tano, il farmacista, se lo immaginò steso accanto a lei mentre le baciava le tette, le succhiava i capezzoli e le faceva un sacco di carezzine sulla fica. A quell’appuntamento sarebbe andata con l’abito più bello e non si sarebbe nemmeno messo lo slippino per farlo arrapare maggiormente. Strofinò ancora e cominciò a lamentarsi ma il bisogno dell’orgasmo si fece più pressante e con due, tre smanettate ecco la sua fica tutta piena! Umori bollenti che le colavano lentamente sino al culo e sussultò ancora per dare pure a Tano il tempo di sborrare. Con la fantasia si era fatta una di quelle scopate che, forse, nemmeno con Carmelo e, verso l’alba, scesa giù dal letto, cominciò a scegliere le cose più belle da mettere per andare dal futuro amante. “Carmelina, non stai bene?” le chiese la nonna nel vederla con gli occhi un po’ arrossati. “Non è niente, nonna; ho fatto brutti sogni; non ho dormito bene” rispose piuttosto secca e andò a infilarsi nel bagnetto per lavarsi e profumarsi tutta, pure tra le cosce. Avrebbe spompinato Tano come aveva fatto più volte con Carmelo e, ficcata nell’acqua, prese a carezzarsela di nuovo perché l’idea del cazzo del farmacista in bocca la faceva già godere. Quando uscì dal bagno, il padre era lì dietro, ad aspettare; si stava strofinando gli occhi assonnati. “Stanotte dal caldo si moriva!” grugnì e Carmela ebbe paura che avesse potuto sentir tutto; invece, andò a cacciarsi nel cesso pure lui e sua madre: “Carmela, ma sai che stanotte ho sognato tuo marito!”. “Buon’anima!” rispose lei. Per poco non la facevano incazzare: sembrava che tutti volessero guastarle la scopata e lei, ormai che c’era, non ci avrebbe rinunciato di sicuro, lutto o non lutto, perché pure la fica ha i suoi diritti.

Quando raggiunse Tano, nel podere: “Come sei bella!” lui le disse ma cominciò a parlarle di vigne e mele giugnoline per non farsi vincere dall’emozione. Poi, cambiando tono: “Sai che stanotte, mentre ti pensavo…” ma s’interruppe e Carmelia, tra sé: “Questo stanotte, s’è tirato un bel raspone; sta morendo dalla voglia di chiavarmi…” e fattosi coraggio: “Perché non ci infiliamo lì?” disse indicandola porta aperta d’un pagliaio. “Non vorrei esser vista da nessuno; lo capisci…” disse per giustificare la sua sfacciata intraprendenza.

“Certo, certo…” mormorò Tano e se la tirò dietro facendola sedere su un mucchio di sacchi sparpagliati a terra. “Staremo scomodi…” lui disse ma Carmela gli tappò la bocca con le sue labbra che scottavano e gli infilò la
lingua dentro, a mulinello. Tano le scivolò sul corpo e cominciò a slinguarla tutta, dal collo alle tette, con dita che tremavano mentre la spogliava. Quando le infilò una mano tra le cosce: “Senza mutandine, sei?!” esclamò infoiato. E non capì più nulla. Tolse di furia la camicia, i pantaloni e, prima di far guizzare il cazzo dallo slip, guardandola pieno di libidine: “Si vede che sei una vedova affamata! Eri affamatagià due mesi dopo…” e Carmelia: “Per favore, non parliamo di Carmelo, buon’ani-
ma! Sta bene dove sta. Sono io, invece, che…”. “Sta’ tranquilla…” fece
Tano, scoprendo il suo nerchione “lo vedi questo arnese? Ti farà star bene in poco meno di mezz’ora…” e le piombò di nuovo sopra come un falco, facendosi largo con un dito tra i peli della fregna.


Non c’era voluto molto perché lei, si inumidisse e tutta quella sbroda dette al giovane un tale arrapamento che, non riuscendo a leccarla perché stesa su quei mucchi di sacchi: “Mettiti là…” le disse e la sollevò lui stesso per deporla su mezzo metro di paglia accatastata. Ora sì che gli veniva bene: si era, infatti, inginocchiato e teneva la bocca in direzione di quella fica calda e liquorosa. Guardò dentro qualche istante, tra i labbroni, e poi con la punta della lingua cominciò a martoriare il grilletto torno torno mentre Carmela gli stringeva la testa tra le cosce.

“Tano”, rantolò “non voglio fare un paragone ma pure tu mi lecchi bene. Tra un minuto ti schizzo in bocca tutto il miele”. Tano, forse, non udì neppure perché lei continuava a stringergli le orecchie con le cosce ma, che avesse sentito oppure no, aveva pochissima importanza: il segno dell’intensità del suo piacere lui lo capiva dal suo continuo sussultare e, perciò, continuava a lappare come un matto per bere, poi, di colpo gli improvvisi zampilli del suo latte.

Un filo di paglia lo punse, a un tratto, al cazzo e Tano decise, allora, di cambiare posizione. Prese la decisione nell’istante in cui la calda Carmela stava per cedere all’orgasmo e l’improvviso arresto procurò alla donna una forte incazzatura. “Ma che cazzo fai?!” gli disse senza badare più alla forma. Tano non le rispose; le agguantò le cosce e le sollevò più che poté accostandosi col bacino alla sua spacca.

Congestionato, rosso come i bargigli d’un tacchino, dette una prima spinta e la cappella si trovò giusto al centro dei labbroni; un’altra spinta ancora e tre quarti del suo cazzo erano già arrivati sino all’utero. Una fica piccola, a giudicare dallo spazio consentitogli, e sotto la pressione della libidine che lo scuoteva in tutto il corpo: “Io ti spacco, Carmela, io ti spacco!… Hai una fica stretta stretta!” disse con voce roca e lei: “Visto che non mi hai fatto sbrodolare, mettimi l’uccello in bocca. Vedrai se non ti succhio pure il cerveletto!”. Dalla fava si sganciò lei stessa e, chinatasi, gli agguantò i coglioni, l’asta guardandogli ammirata la cap-
pella. “Bella minchia! Comequella di Carmelo!” disse leccandosi le labbra. E Tano, di rimando: “Vuoi piantarla di ricordare sempre tuo marito!
È con me che stai chiavando. Se me lo tiri sempre in ballo non riesco a fotterti, capisci?”.

Carmelina, però, non avrebbe parlato almeno per un quarto d’ora perché stava già succhiando il suo dolce savoiardo e lo carezzava dai fianchi alle caviglie procurandogli un sacco di freddi brividi sul corpo. “Ma, guarda… guarda!” esclamò Tano “Chi ti ha insegnato queste cose? Succhi meglio d’una puttana di mestiere!” e Carmela non rispose sia perché a bocca piena, sia perché avrebbe dovuto parlargli della buon’anima e lui glielo impediva.

Il giovane prese a mugolare. Smozzicò tra i denti parole incomprensibili e ciò piacque molto a Carmela: era segno che ci sapeva fare e per questo l’amante era già bell’e assicurato. Lei mica chiedeva, in fondo, cose stravaganti; solo un bel cazzo che periodicamente la sturasse e con la dovuta discrezione perché vedova dal lutto ancora fresco.

Tano improvvisamente si trovò tra i piedi una gallina e le dette una pedata da lasciarla secca nel pagliaio. Per il piacere, ora, rantolava e la
giovane tra un succhio e l’altro gli palleggiava i durissimi marroni. Si stava quasi smascellando ma lui non volle sborrare col pompino.
Afferrò lesto i pantaloni e cacciò la mano in una tasca; Carmela non capì cosa gli stesse passando per la testa e si trovò di colpo senza il cazzo in bocca.

“Stenditi giù…” lui le disse e armeggiò un pochino sull’uccello. Poi, le sollevò le gambe e se le pose sulle spalle infilandole l’arnese nella fica. Piena com’era di brodaglia, non avvertì quasi i suoi primi colpi di stantuffo ma, ora che andava a sbatterle contro l’utero facendole sen-
tire violente stilettate nel cervello, Carmela prese a rantolare: “Mi sconquassi, mi sconquassi!…”. Però, dolore o no, lo serrò con le gambe attorno al collo perché continuasse a pistonarlae flebilmente: “Godo, godo, Tano! Carmelo che vede tutto mi saprà capire…”.Di nuovo il ricordo del morto e Tano, incazzatissimo, con un colpo solo le sfondò quasi l’utero mordendola alla spalla. Era al colmo della libidine, infoiato, assatanato. La martellò impietosamente pensando solo al suo piacere ma Carmela stava partecipando pure lei e le sfuggì di bocca: “Godiamo insieme, te ne prego. Insieme, insieme…”.

Erano arrivati entrambi al limite e si attorcigliarono come due serpi in un duello. Un unico grido di piacere e si abbandonarono sfiniti sulla paglia. Ma, di lì a poco, atterrita, Carmela: “Gesumaria! Tu mi hai messo incinta!
Sarò per tutti una puttana!…”. Tano scoppiò a ridere e allargando le cosce: “Lo vedi questo qui?… “. Le indicò una cosa trasparente che gli fasciava il cazzo e, poi, solennemente, precisò: “È tutto chiuso lì dentro; nessun pericolo di gravidanza”. Sfilò il preservativo e glielo fece dondolare sotto gli occhi. “Ma, scusami, come facevi con Carmelo?” chiese. “AI momento giusto mi sborrava tra le cosce”; rispose Carmela “ecco perché non ho mai goduto così bene. Così bene
come oggi… Che pezzo di cretino!”. “Perché cretino? Che ti ho
fatto?” le chiese Tano risentito. “Parlo della buon anima. Pensa di che cosa bella mi ha privato!” fece Carmela infilandosi la gonna. “Mi sborrava solo dentro il culo! E io, stavolta, al cimitero non gli porto i fiori”. Ebbe il tempo d’infilarsi il reggiseno. Tano, alle sue spalle: “Lasciamo stare i morti, e comunque questo bel culetto a me non lo daresti?”
le chiese agguantandole le poppe. La spinse dolcemente un po’ in avanti ma Carmelina: “Devo tornare a casa sperando che mio padre non mi legga negli occhi ciò che ho fatto!”. Infilò la gonna e si girò offrendo ancora la sua bocca. “Se vengo dopodomani, lo faremo ancora nel pa-
gliaio?” gli chiese provocante. “Non posso; dovrò trovarmi in farmacia”.

“Vengo di sera; dirò che vado a casa d’un’amica”. “Allora, andremo su, nella mia camera da letto” rispose Tano e lei uscì furtiva, con la fica martoriata e col culo che prudeva all’idea della prossima infornata.


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